LO psicologo Vittorio Gabriele Di Maio Cucitro
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Come usiamo i social? Ne parlo con il giovane psicologo ed esperto di media online Vittorio Di Maio Cucitro

Com’è il nostro rapporto con i social? Come è nella vita privata e come ci presentiamo ( o dovremmo fare) sui social se apparteniamo ad un Ordine Professionale. Di questo e di come è cambiata la comunicazione oggi ne ho parlato con il giovane psicologo e esperto di comunicazione Vittorio Gabriele Di Maio Cucritro.

Ciao Vittorio, benvenuto presentati ai miei lettori. 
Io mi chiamo Gabriele Vittorio, sono di base uno psicologo e uno psicoterapeuta. Sono specializzato in psicoterapia cognitivo interpersonale e da diverso tempo ho scelto di specializzarmi in ambito digitale. Ho conseguito una seconda laurea in comunicazione e culture digitali ed ora sto prendendo la magistrale in comunicazione, media e giornalismo. Unisco i due miei lavori perchè mi sono accorto, nel tempo, quanto fosse importante specializzarmi anche in questo ambito anche perchè il mio ambito di psicoterapia, al tempo quando mi sono specializzato prevedeva anche questo: l’apporto digitale. Poi però mi sono accorto che non era soltanto una formalità ma era un percorso universitario che avrei potuto intraprendere e percorrere, metchando le competenze pregresse e quelle nuove. Sono contento di questo. Attualmente lavoro molto nel campo digitale, sia nella formazione, sia come social media coach. Ho clienti di diverso tipo. Nell’ambito psicologico ho pochi psicologi a cui curo l’ambito digitali. Ho molti clienti di diverse aree perchè io mi occupo di come comunicano online. Un tempo mi occupavo di creazione di contenuti ora ho un team di colleghi che si occupa di questo.

Come stanno cambiando i social media e come vengono percepiti adesso dai giovani e da chi fa un lavoro come il tuo. Quindi come vengono percepiti a livello professionale. 
Come vengono percepiti dai giovani è una bella domanda. Bisogna capire per giovani chi intendiamo.
Ci sono i giovani giovanissimi che sono i piccini. I giovani che possono essere anche i miei ultimi colleghi universitari, di 25 anni. Dipende dalla fascia d’età. Io non ho mai lavorato con i bambini a livello di psicologo- psiciterapeuta. Non è il mio ambito di competenza. L’ambito digital si. Lo conosco ed è il mio campo d’azione. Mi incuriosisce nel vedere l’approccio dei piccolini dagli occhi degli adulti. Io mi interfaccio con gli adulti e dai loro occhi, quindi dagli occhi dei genitori mi faccio l’idea di come è la percezione. Diciamo che è difficile per i piccini interfacciarsi con un nuovo mezzo, come con qualsiasi altro mezzo. Con quello social ancor di più perchè i genitori stessi non comprendono l’ambito social in pieno. La percezione dei piccolini è sempre intermediata dai genitori e purtroppo questo ponte è stretto, è piccolino. I bambini di oggi delle scuole elementari sono già esposti, tramite i genitori ai social. Loro conoscono già Instgram, TikTok pur non avendo un account. Un tempo si diceva che i piccolini fossero esposti a Youtube ed è ancora così, ne è addirittura nato un canale appositamente dedicato, però abbiamo fatto un passo avanti nel senso che i bambini non passano più il tempo su Youtube soltanto ma anche sui social, pur non potendo avere un loro account sui social.

Lorena. É brutto sentire questi trend. Se è vero che un domani da adolescenti sapranno usare questi strumenti è vero anche che, nel tempo, l’utilizzo degli stessi, in modo prolungato sin dalla più tenera età può provocare dei danni…

Vittorio. Si, certo. In primis la comprensione del mezzo. É la stessa cosa di quando ci fu l’avvento dei telefonini ai tempi nostri. Se lo usi per lo scopo per il quale è stato creato: telefonare e mandare messaggini, è un conto. Se lo usi per scaricare le suonerie, come facevamo noi, è un’altro. Il danno in quel caso è limitato all’ambito economico. Adesso non è più limitato. Siamo sui social, c’è la rete. In rete il danno non è più limitato.

Lorena. Quali sono i rischi e le opportunità dell’utilizzo dei social media sia in generale, rispetto all’uso che ne fanno i giovani i piccolissimi, sia a livello dell’uso in ambito professionale. Professionisti come te spesso si trovano a doverlo utilizzare per lavoro ma magari si trovano ad utilizzarlo anche nei momenti di svago. Quali sono i rischi di un profilo che matcha l’utilizzo professionale con l’utilizzo privato e, se ne discute nell’ambito dei due ordini, sia in quello giornalistico e in quello medico di dividere i due profili.

Vittorio. Si certo. Io dico sempre che per tutti, professionisti e non i social sono una grande opportunità perchè ti possono aiutare a fare tante cose: dalla semplice ricerca su google alla creazione della rete. Ti permettono di avere opportunità lavorative: molti trovano lavoro grazie ai social. Sono un grosso strumento di aiuto in questo senso. Come per tutte le persone così anche per i professionisti è fondamentale capire una cosa: ciò che metti in rete, ciò che dici in rete e ciò che fai in rete rimane lì. Non è un pezzo di carta che puoi strappare, un account non si cancella e basta. La rete è aperta. La divisione tra il profilo professionale e personale in una professione come quella del giornalista, o anche quella dello psicologo, è materia di dibattito attuale e va assolutamente disciplinato sempre di più. Inizialmente non eravamo abituati all’avvento della rete, soprattutto i più adulti. Abbiamo sottovalutato le potenzialità che giustamente poteva avere. Alcuni hanno saputo guardare oltre ma la maggior parte no. Dall’altro non si sono valutati abbastanza bene i potenziali rischi. É successo che molti professionisti si sono messi online sui social senza capirne bene i rischi. Attualmente, nonostante ci sia un codice deontologico, quello degli psicologi che è molto chiaro e forte, purtroppo molto spesso non si allinea con quello che il professionista fa. Innanzitutto dobbiamo rispettare la riservatezza: molte persone tra cui anche i professionisti purtroppo non hanno ben chiaro che nel momento in cui sei iscritto ad un ordine, tu rappresenti quell’ordine sempre. Nel momento in cui io sono qui col mio nome e il mio cognome, sto rappresentando non solo me stesso ma l’intera categoria.
É una scelta che fa il professionista nel momento in cui si è abilitato alla professione. Se tu sei abilitata e non sai che hai fatto anche questa scelta contestualmente. c’è un problema. Il fatto di rappresentare la tua categoria ti pone nella posizione di sapere che ci sono cose che non puoi fare e non devi fare. Non è una scelta.
La riservatezza è molto importante, ad esempio. Non devi mettere online cose strettamente personali. L’ordine dice che puoi avere due profili uno professionale e uno personale perchè, per noi mettersi online e lavorare online è una grande possibilità che devono avere tutti i professionisti ma va fatto con un certo criterio. La professione dello psicologo è una professione molto delicata: lo è sempre stata delicata ma ora, con l’avvento dei social, di più. Io vivo molto i social e quello che vedo è che ci sarà sempre l’antico astio con la figura dello psicologo, quello ci sarà sempre, nessuno cambierà l’antica resistenza verso questa figura ma c’è un’altra cosa: la resistenza verso la categoria. Mi sento spesso dire “Ah ma lo psicologo sui social che pagliacciata. Lo psicologo non deve stare sui social perché diventa un pagliaccio”.

Lorena considera: Forse perché dipende da quella moda di comunicare che hanno anche altri specialisti medici, ne seguo diversi, secondo i quali per far veicolare un messaggio rivolto ai giovani si danno ai balletti? o in reel un poco più giocosi, diciamo.

Vittorio: Si è così. Le due cose fanno match: un poco c’è la presenza dell’antica resistenza per cui lo psicologo non piace e non piacerà mai, dall’altro c’è il fatto che i professionisti fanno molto poco per promuovere una professionalità sana e si ritrovano a fare i balletti, chiamiamoli così perchè da un lato non sappiamo come si usano i social, non sappiamo quale è il nostro limite, pensiamo che mettendoci su un social possiamo fare la qualsiasi. Ci siamo spinti oltre dicendo balletti? Forse no, alcuni li fanno realmente. Questo non aiuta la figura dello psicologo perchè una persona che ha una resistenza verso una professione così delicata vede questo / che fa un balletto e rimane perplesso. Uno psicologo o una psicologa non deve stare sui social conclude il paziente vedendo quell’atteggiamento.

Lorena. Si la vedo e la noto anche io la differenza tra chi propone contenuti ballando e chi li propone per informare. Ciò non toglie che lo possa fare in un modo giovanile e che arrivi prima rispetto a quando spiega le cose in modo formale.

Come credi che possa intervenire, possa essere la modalità giusta con la quale l’ordine degli psicologi può intervenire ( anche verso i giornalisti) e come credi che in futuro si evolverà la fruizione dei contenuto da parte dei professionisti?

Vittorio: Io sono un’ ottimista con esperienza, nel senso che la vedo brutta nonostante sia ottimista. Il mio lavoro è anche questo: aiutare le persone a vivere i social in modo pulito e competente. L’ordine è intervenuto un pò di tempo fa con un vademecum interessante, delle linee guida dove spiega esattamente si trova sul sito) dove ti fa degli esempi concreti di utilizzo dei social da parte di noi professionisti. I professionisti, ad esempio, non possono fare sfoggio della ricchezza e ostentarla al fine di. Però fatta la legge trovato l’inganno perchè questo continua a succedere sia con l’ostentazione sia con il postare momenti del proprio privato. Il codice deontologico e il vademecum sono molto chiari dicono che lo psicologo e la psicologa non debbono postare contenuti intimi dall’altro lato siamo in un epoca interessante per i valori: ci teniamo tantissimo ma facciamo un pò di confusione. Faccio confusione nel momento in cui sono una psicologa e tengo ai diritti delle donne e mi voglio mettere in tanga. Questo atteggiamento non è professionale. Ho paura che questa cosa prenda una piega brutta. 

Probabilmente, intervengo, manca il controllo. Manca l’autorità giusta che si metta a scandagliare i profili, forse è troppo vasto il controllo. La stessa questione si apre per l’ordine dei giornalisti.

Esatto è la stessa cosa con l’informazione. L’ordine è chiaro ma il diritto di informazione e di cronaca stesso è contro il controllo. Abbiamo un concetto di libertà strano. Non ci rendiamo conto che noi facciamo informazioni e le persone si devono fidare di noi. Aiutiamo le persone a comprendere, è importante per questo, aiuta le persone a formarsi una opinione ma se io giornalista ho già delle convinzioni strampalate su questo, non ci siamo.

Dove finisce il diritto e dove comincia la deontologia? Se anche il professionista non è più professionista.

Quali consigli ti senti di dare ai giovani nell’approccio all’utilizzo dei social, sia ai professionisti colleghi?
I giovani non ascoltano però ora più che mai si è creata una diffidenza. Non ascoltano la figura genitoriale, di mentore, di guida ( chiamatela come volete) vengono a mancare perchè ora ci sono i social. É importante dare un messaggio: “Non credete a tutto ciò che vedete e che leggete sui social, oggi girano sui social molti valori strampalati come il fatto di usare i social per dire che si esiste. Condividere me stesso e la mia intimità “Non mi sono accettato ma ora grazie ai social eccomi qui” . È una idea di libertà e di accettazione che sta passando che è del tutto sbagliata. Non è così che si accetta se stessi nè a livello fisico nè emotivamente. La voglia di mostrare, di raccontare tutto per esserci è sbagliato. Così si creano falsi modelli, falsi valori che non li aiuteranno per il futuro. Non credete a tutte le idee di libertà che vi propinano sui social, non hanno senso, non vi aiutano anzi vi possono danneggiare molto. Per i professionisti invece io direi di non lasciarsi accecare dalla facilità con cui si pensa di entrare in contatto con gli altri. Io mi rendo conto che oggi un libero professionista in particolare fa fatica ad inserirsi nel mondo del lavoro. É difficile, è stato difficile anche per me. Sui social oggi si tende ad avere un linguaggio simile, semplificato per entrare in comune con l’altro, per avere i clienti, Ecco che si parla di ambiente tossico, narcisismo patologico, adhd, hai la sindrome, hai questo, quell’altro.. Tutte parole che io non tollero, parole davvero tossiche perchè vanno a svilire la vera diagnosi, le vere condizioni. Se hai questi tre sintomi allora hai. Lo psicologo lo usa per avvicinarsi a te, per avere clienti, ma alle persone piace. Non sviliamo la professione per avere un cliente in più. Il nostro lavoro e la nostra missione è aiutare le persone. Non bisogna accettare le autodiagnosi dei clienti. Nel mio lavoro sono duro ed energico verso questo perchè non va bene. Non fatevi influenzare. Non è tutto oro quel che luccica. La missione dello psicologo è chiarirti che tutto ciò che leggi non è reale, parliamone insieme di persona. Il giornalista ugualmente deve far capire al lettore ciò che è vero da ciò che non lo è. Gli deve trasferire gli strumenti giusti, che può usare per un factchecking e capire ciò che è vero da ciò che non lo è.

Dove troviamo Vittorio? Sono su diverse piattaforme e su ogni piattaforma uso un approccio diverso. 

Instagram contenuti per comprendere se stessi e il mondo digitale

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Linkedin con un approccio serio, un progetto che porto avanti meno ma mi piace stare anche lì perchè è un buon viatico di relazioni lavorative per fare rete. Sono dove posso dare una mano a comprendere questo mondo

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